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Che l'uomo, anche dopo aver incontrato Cristo e aver sperimentato la sua grazia, si senta ancora peccatore e incline al peccato, è un'esperienza comune a tutti. A nessuno è risparmiata l'esperienza del limite e del dolore per il proprio peccato, pur nella gioiosa consapevolezza che il Crocifisso ha ottenuto il perdono dei peccati. Chi più di altri ha denunciato quest'esperienza, facendone oggetto della propria riflessione teologica, è stato Lutero. A suo dire, proprio la lettera di Paolo ai Romani descrive l'uomo giusto e peccatore allo stesso tempo (simul iustus et peccator): «Dio perdona le iniquità dell'uomo, copre i suoi peccati e non li mette sul suo conto» (Rm 4,7-8). Questa e altre affermazioni paoline giustificano il pessimismo (o realismo) di Lutero? Se Dio copre il mio peccato, quest'ultimo rimane in me, macchiando ogni mia azione? Se Dio si limitasse a nascondere il mio peccato, si potrebbe ancora dire che, per il battesimo, sono una nuova creatura?